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Dopo aver vinto il premio per la miglior regia a Cannes nel 2016 con Bacalaureat, Cristian Mungiu ritorna al cinema con un film che mette lo spettatore davanti alla realtà del razzismo.
Animali Selvatici di Cristian Mungiu: la trama
Matthias (Marin Grigore) lavora in Germania, ma è costretto a tornare dalla sua famiglia nel piccolo paesino di Rimetea, in Romania, dopo una violenta lite con il suo capo. Qui scopre che il figlio Rudi (Mark Blenyesi) ha smesso di parlare da quando si è imbattuto in qualcosa che lo ha spaventato nel bosco. Matthias gli vuole stare accanto, ma allo stesso tempo il rapporto con sua moglie Ana (Macrina Barladeanu) sembra irrimediabilmente incrinato. L’uomo cerca così conforto tra le braccia dell’amante Csilla (Judith State), a capo dell’azienda panificatrice con sede a Rimetea. Sarà proprio la sua decisione di assumere dei ragazzi stranieri a portare scompiglio nel piccolo paese.
La paura dello straniero
Il tema principale di Animali Selvatici è proprio quello del confronto con lo straniero. È la paura del diverso che fa da protagonista e viene declinata nelle sue diverse forme. Da subito, infatti, il regista mostra come il popolo rumeno sia in primis bersaglio di commenti razzisti, ma, parallelamente, la xenofobia è radicata anche in loro stessi. Quando sono tre ragazzi provenienti dallo Sri Lanka ad arrivare nel piccolo villaggio di Rimetea, la situazione viene destabilizzata, risolvendosi in un climax di odio, paura e atti violenti. Il significato profondo del film si potrebbe davvero condensare nel detto “tutto il mondo è paese”. Gli animali selvatici sono proprio le persone, nelle quali si annida la bestialità associata al razzismo e che agiscono ferocemente davanti a ciò che non conoscono.
Una rappresentazione condensata del mondo
Il timore del diverso viene contrapposto da Mungiu all’accettazione e all’accoglienza, in una grande metafora che vede il paesino di Rimetea come la rappresentazione dell’umanità intera. Come accade anche in Twin Peaks di David Lynch, la cittadina isolata diventa la rappresentazione simbolica di un tutto universale: ciò che accade nella piccola realtà, separata dal resto, è assimilabile a quello che succede nel mondo in generale. E anche in questo caso, la foresta che circonda il centro abitato è fonte di preoccupazione e timore, perché nasconde il misterioso e l’inesplorabile – esattamente come viene rappresentato in The Village di M. Night Shyamalan. Questo elemento perturbante viene introdotto da Mungiu fin dalla prima scena, in cui il figlio di Matthias si spaventa mentre vaga nel bosco, simbolo dell’ignoto e paure incomprensibili.
Un film su pregiudizi e contraddizioni
Cristian Mungiu costruisce un mondo pieno di contraddizioni e di paradossi. Una realtà immersa in una confusione morale da cui nessuno esce veramente pulito. L’odio dilagante verso lo straniero, l’intolleranza reciproca verso le differenze dell’altro, la religione che invece di accogliere dà voce ai pregiudizi, le forze dell’ordine che evitano in ogni modo di intervenire di fronte alla violenza, i datori di lavoro che sfruttano i loro dipendenti… Il tutto culmina nella scena forse più significativa di Animali Selvatici, ovvero quella dell’assemblea cittadina. Qui la contraddizione è portata all’apice ed esasperata anche al livello della messa in scena stessa: si tratta di un lunghissimo piano sequenza a camera fissa che mostra con una staticità insistente il progressivo degenerare del conflitto interno alla comunità. Mungiu, Palma d’Oro a Cannes nel 2007 con il lungometraggio 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, riesce a portare sul grande schermo un film dalla trama semplice ma estremamente elaborato.