"Eravamo bambini", terzo lungometraggio diretto da Marco Martani, abbina al classico genere thriller di vendetta quello del film di formazione/redenzione
Il film si basa liberamente sul testo teatrale “Zero” di Massimiliano Bruno e racconta la storia di cinque giovani antieroi che, vent’anni dopo un tragico evento che ha segnato le loro vite da bambini, sono alla ricerca di vendetta.
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Peculiare, in Eravamo bambini, il sapiente ricorso a tre diversi piani temporali atti a mostrare la capacità del passato di ritornare sempre in superficie, di macchiare e sfumare costantemente quel liquido denso e trasparente che chiamiamo “presente.”
Eravamo bambini, tuttavia, è molto di più che un banale gioco temporale, miscuglio di dimensioni che ci confondono facendoci al contempo apprezzare la paradossalità del Tempo. Il lungometraggio diretto da Marco Martani – fuori in tutte le sale a partire dal 21 marzo – sa infatti accattivarsi abilmente tutta l’attenzione dello spettatore, il quale viene a suo insaputa precipitato in un vortice di suspense e intrigo.
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Non poteva che scegliere un manipolo di giovani attori esperti, Marco Martani, che della lucida e puntigliosa selezione ai casting fa uno dei suoi vezzi imprescindibili. Non poteva, per di più, date la tematica e la dinamica del film. Si richiedeva infatti, raccontando di adulti che erano bambini e che in qualche modo bambini ci tornano per davvero, un gruppo di attori giovani, ma al contempo, anche, un gruppo di attori che avesse maturato una certa esperienza, vista anche la difficoltà dei ruoli, attestata la complessità della trama.
Lorenzo Richelmy, Alessio Lapice, Lucrezia Guidone e Massimo Popolizio sono solo alcuni degli attori su cui Martani ha quindi deciso di puntare per formare il cast corale del film, e state pur certi che ognuno di loro ha saputo tradurre la propria esperienza e la propria abilità nella rappresentazione di questi protagonisti tormentati. Grazie alle loro performance coinvolgenti, non c’è dunque spettatore che non si immedesimi facilmente nei personaggi e che pertanto non sia in grado di seguirne i viaggi emotivi con grande interesse.