Un film che racconta la solitudine, in presenza, e il passato, in assenza. Un'ombra che illumina, una luce che oscura: la (nostra) recensione di "Estranei"
All of Us Strangers (nelle sale italiane, “Estranei”), diretto da Andrew Haigh e basato sull’omonimo romanzo di Taichi Yamada, affronta tematiche universali quali la mancanza (la nostalgia) e il desiderio di connessione (la solitudine), e lo fa – non si sa bene come, ossimoro in termini – in un modo che può essere considerato “delicatamente intenso” o “intensamente delicato” .
È una carezza di quelle pesanti, questo film del tutto inusuale che al giorno d’oggi nessuno, ma proprio nessuno, dovrebbe perdersi. Assesta colpi di piuma, colpi che non feriscono, ma che ciononostante incidono, scavano. Insegna ad andare avanti, Estranei, e ci insegna a farlo tornando indietro, seguendo il cammino meno semplice, il meno battuto, quello che ci riporta al (nostro) passato, quello che ci invita costantemente, passo dopo passo, a riprendere i fili invisibili del nostro destino, a scioglierne i nodi ancora una volta, chissà che non ne venga fuori qualcosa di nuovo, chissà che la nostra stessa vita, fatta di sogni e di destinazioni ancora da tracciare, ancora da percorrere, non ne venga completamente rivoluzionata.
Su uno stesso piano, passato e presente si rincorrono, questi “tutt’altro che estranei”, dimensioni temporali abituate a sovrapporsi, a giocare l’una sulla schiena dell’altra, a darsi il cambio senza posa, o comunque, in ogni caso, a riconoscersi soltanto nello sguardo dell’altro. Il presente in quello del passato, il passato in quello del presente. E così, All of Us Strangers ci ricorda che il presente può essere, e spesso effettivamente è, un oblio e ci mostra che il passato sa essere, e a dire il vero solitamente è, una costanza.
Al di là, o meglio, al di qua della trama – di cui comunque vi dirò qualcosa, no worries – questo è quindi un film che va visto, non foss’altro per l’effetto catartico che la dialettica proustiana tempo-memoria è in grado di provocare, non foss’altro – e dici poco! – per la sua capacità di ricordarci – a noi moderni che non facciamo altro che correre senza meta, amanti sconclusionati del vano e vacuo sgambettìo atto a suscitare l’ansia altrui, ignara risposta all’ansia che gli altri a loro volto hanno suscitato in noi -, che a volte, se non spesso, è bene ritornare. Il senso della vita, infatti, non è mai di là da venire, ma è già. Riprendiamolo, allora. E i nodi, piuttosto che scioglierli, stringiamoli. Tentar non costa nulla.
Premettiamo subito una cosa, urge: le performance degli attori principali, ovvero Andrew Scott e Paul Mescal, sono straordinarie, da mangiarsi i popcorn e lambiccarsi le palpebre. Il modo in cui riescono a trasmettere al pubblico l’intensità delle loro emozioni – emozioni molto spesso difficili, quali la nostalgia, la solitudine, l’estraneità, appunto, ma anche la familiarità ritrovata e rinnovata quasi ex novo – non ha praticamente eguali nel cinema contemporaneo. La regia di Haigh, certo, fa il suo, contribuendo alla creazione di un’atmosfera atta a riflettere questo tipo di sentimenti, ma comunque senza i due Superlativi (Andrew Scott e Paul Mescal), il film non sarebbe stato quello che è: un autentico capolavoro.
Ma veniamo alla trama, una trama personale, una trama fatta di persone e di interazioni umane.
Al centro della vicenda, nocciolo snocciolantesi nel corso del film, vi sono due legami, quello tra Adam è i genitori che non aveva mai avuto modo di conoscere e che ora si ritrova a frequentare, suoi coetanei in un passato attuale, e quello sempre tra Adam e Harry, inquilino col quale si creerà una connessione unica.
La chimica tra Andrew Scott e Paul Mescal è palpabile sullo schermo, rendendo la loro relazione autentica e coinvolgente. La scoperta reciproca e l’amore che si sviluppano tra Adam e Harry li aiutano ad affrontare le loro paure, a superare la solitudine e a trovare finalmente una forma di felicità. Questo legame intenso rappresenta una fonte di conforto per entrambi i personaggi, mostrando come l’amore possa essere una forza trasformativa nella vita delle persone.