Come sarebbe il mondo senza di noi? È questa la domanda da cui parte il nuovo film di Paolo Genovese, Il primo giorno della mia vita, in uscita nelle sale da giovedì 26 gennaio.
Argomenti trattati
Il nuovo lungometraggio di Paolo Genovese, tratto dall’omonimo romanzo pubblicato nel 2018 dal regista stesso, tocca dei temi delicatissimi, offrendoci una riflessione sulla vita, sulla ricerca della felicità e sulla morte.
Il misterioso personaggio di Toni Servillo pesca dal mare della disperazione quattro anime che hanno deciso, nella stessa notte, di porre fine alle loro vite. Napoleone (Valerio Mastandrea) è un motivatore affermato che aiuta le persone ad uscire dalla depressione, Emilia (Sara Serraiocco) è un’ex-ginnasta che si sente eternamente condannata al secondo posto, Arianna (Margherita Buy) è una poliziotta che ha perso la figlia adolescente e Daniele (Gabriele Cristini) è un bambino che subisce il bullismo da parte dei coetanei e dei suoi stessi genitori.
Come nel capolavoro senza tempo di Frank Capra, La vita è meravigliosa, ai protagonisti di Genovese viene offerta una seconda possibilità: avranno a disposizione una settimana per cambiare idea e dare una nuova opportunità a se stessi e alle loro vite.
Il viaggio dei personaggi parte da una notte “buia e tempestosa”, immersi in una Roma cupa, desolata e sotto un’acqua scrosciante. Toni Servillo accoglie i protagonisti sulla sua auto e li trasporta in una dimensione altra, fuori dal tempo e dallo spazio. Per sette giorni avranno la possibilità di vedere cosa accadrebbe dopo la loro morte, le reazioni dei loro cari, il tempo che scorre inesorabile senza di loro. Potranno anche sbirciare nel loro futuro e avere dei piccoli assaggi delle esistenze che potrebbero vivere.
Servillo è il traghettatore di queste anime perdute, un’entità dalla natura incomprensibile e segreta – come il personaggio di Mastandrea in The Place – che accompagna Napoleone, Emilia, Arianna e Daniele in questa peregrinazione alla ricerca di una speranza per il futuro.
La quasi totalità della narrazione si svolge in questo limbo misterioso, un luogo sospeso fra la vita e la morte, in cui il regista lascia spazio ai dubbi e alle indecisioni dei protagonisti, i quali possono realmente esplorare loro stessi e la loro esistenza da un punto di vista inedito e profondo.
Il primo giorno della mia vita inizia paradossalmente proprio dall’ultimo giorno della vita dei protagonisti: il messaggio che Genovese vuole trasmettere è in realtà quello della rinascita, la speranza che il momento più buio possa far scattare la scintilla che accende una nuova luce, una nuova fiducia nel futuro. Il regista rafforza questa idea attraverso la fotografia di Fabrizio Lucci, che riflette la parabola narrativa dei personaggi. L’oscurità li ingloba quando toccano il fondo, mentre la notte svanisce negli attimi di serenità, lasciando spazio al cielo sereno e ai colori pastello. Nonostante l’atmosfera sospesa sia molto suggestiva, in bilico fra realtà e possibilità, la narrazione risulta, in qualche modo, appiattita e meno coinvolgente di quanto ci si possa aspettare, visti i delicatissimi temi che Genovese porta sul grande schermo. Il ritmo del film, infatti, appesantisce il racconto, dal momento che la struttura narrativa è scandita in maniera molto lineare. Il passare del tempo è pedissequamente annunciato dalle didascalie a schermo, che separano i giorni sillabando la trama e togliendo potenza alle storie dei protagonisti.
Fondamentale è, appunto, il tema della rinascita, presente fin dal principio. Il film, infatti, inizia e finisce con un forte acquazzone: l’acqua riconduce ad una nuova vita, purifica i personaggi, lava via i loro dubbi, come un vero e proprio battesimo. Li proietta verso una risoluzione – che sia una conferma o una tensione verso un cambiamento.
Genovese intraprende così l’irto percorso della rappresentazione della tematica del suicidio, costruendo un racconto suggestivo, ma non sufficientemente intenso da immergere lo spettatore nelle vite dei protagonisti. Tuttavia, il tentativo di indagine sull’esistenza umana del regista rimane una riflessione significativamente rara nel panorama cinematografico italiano: Genovese realizza un film coraggioso che vale la pena vedere.