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Matteo Garrone sbarca per la prima volta alla Mostra del Cinema di Venezia con il film Io Capitano, quinto lungometraggio italiano in gara al Festival e tra i favoriti nella corsa al Leone d’Oro. Nelle sale italiane dal 7 settembre.
Trama
Dakar, i due sedicenni Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall) decidono di lasciare il Senegal per inseguire i loro sogni in Europa. Il loro viaggio sarà una vera e propria Odissea contemporanea che li porterà a scontrarsi con il deserto, le prigioni libiche e il mare.
Una prospettiva diversa
A quattro anni dall’uscita di Pinocchio, Garrone ritorna in sala con una tematica estremamente attuale, ovvero la crisi migratoria. Il regista accompagna lo spettatore nell’inferno del tragitto che i due giovani protagonisti decidono di compiere per arrivare in Europa. Seydou e Moussa non stanno scappando dalla guerra, ma sono due adolescenti pieni di fiducia nel futuro e di voglia di avventura, con il sogno di sfondare nel mondo del rap. Per questo, lavorano sodo per riuscire a permettersi il fatidico viaggio, abbandonando la loro casa nella speranza di trovare fortuna in un altrove a metà fra il miraggio e l’utopia.
Attraverso un racconto molto semplice, Garrone riesce a rendere la narrazione estremamente coinvolgente e toccante, grazie anche all’intensa interpretazione di Seydou Sarr. Giocando sui primi piani, stretti sull’espressivo viso del protagonista, il regista riesce perfettamente nel suo intento di focalizzare la storia sull’esperienza del migrante. Garrone ha voluto considerare, infatti, una prospettiva diversa: “Noi siamo abituati a vedere le immagini dalla nostra angolazione. In questo caso, la macchina da presa, invece di essere puntata dall’Occidente verso l’Africa, è puntata in controcampo”, ha affermato in un’intervista. A rafforzare questa visione, si aggiunge il tema linguistico: il film è stato girato interamente in francese e in wolof, la lingua più diffusa in Senegal.
Tra orrore e fiaba
Per mettere in scena il viaggio di Seydou e Moussa, Garrone si è ispirato a diverse storie accadute realmente e sul set si è circondato di persone che hanno veramente vissuto l’incubo della migrazione nel Mediterraneo. La fotografia di Paolo Carnera (che negli ultimi anni ha collaborato con Damiano e Fabio D’Innocenzo) restituisce con incredibile intensità gli orrori del viaggio dei giovani protagonisti.
Questa volontà di realizzare un film con i migranti e non semplicemente su di loro, con uno spirito quasi neorealista, non ha comunque lasciato che il regista rinunciasse all’elemento fiabesco. Le sequenze oniriche, permeate di quel realismo magico che caratterizza lo stile garroniano, regalano delle immagini tanto potenti quanto suggestive.
Matteo Garrone porta all’ottantesima edizione del Festival del Cinema di Venezia un viaggio estremamente coinvolgente e ricco di immagini potentissime – a tratti crude – in grado di rimanere con lo spettatore ben oltre la fine dei titoli di coda.