La paura e il male: un’analisi del nuovo horror di Oz Perkins

Un viaggio inquietante tra mente e oscurità nel film di Oz Perkins

Un’interpretazione innovativa della paura

Il nuovo film di Oz Perkins, “Longlegs”, si presenta come un’opera che sfida le convenzioni del genere horror, spostando l’attenzione dalla violenza esplicita alla psicologia del terrore. La narrazione si sviluppa in un contesto claustrofobico, dove la paura non è solo un’emozione, ma un’entità che si insinua nella mente dei personaggi. La scelta di un formato d’immagine 4:3 contribuisce a creare un’atmosfera di oppressione, rendendo lo spettatore parte integrante di un’esperienza inquietante.

Il male come presenza costante

In “Longlegs”, il male si manifesta attraverso la figura enigmatica di Longlegs, un personaggio che incarna l’ignoto e l’inquietante. La sua presenza è avvolta nel mistero, e le domande che sorgono attorno a lui – come la sua conoscenza del passato delle vittime – amplificano il senso di terrore. La neve, che ricopre il paesaggio, diventa un simbolo di isolamento e impotenza, mentre i personaggi si trovano intrappolati in una rete di ricordi e paure. La regia di Perkins riesce a mantenere alta la tensione, facendo leva su elementi visivi e sonori che amplificano l’angoscia.

Riflessioni sul radicalismo e la memoria

Il film non si limita a raccontare una semplice storia di caccia al serial killer, ma si addentra in tematiche più profonde, come il radicalismo spirituale e la manipolazione della memoria. I personaggi, in particolare l’agente FBI Lee Harker, interpretata da Maika Monroe, si trovano a confrontarsi con il loro passato e le scelte fatte. La narrazione invita lo spettatore a riflettere su quanto il male possa essere vicino e su come la società possa ignorare le sue manifestazioni. La ferocia del film risiede nella sua capacità di farci interrogare sulle nostre paure più intime e sulla nostra vulnerabilità di fronte all’oscurità.

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