Un viaggio visivo e spirituale tra le vette, tra realtà e rappresentazione cinematografica.
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La montagna è da sempre un simbolo potente di introspezione e ricerca interiore. In molte culture, le vette rappresentano un luogo di riflessione, dove l’uomo può confrontarsi con la propria esistenza e le proprie emozioni. Recentemente, il cinema ha iniziato a esplorare questa dimensione, portando sul grande schermo storie che mettono in luce la connessione profonda tra l’essere umano e la natura. Film come “Fiore mio” di Paolo Cognetti offrono uno sguardo unico su come le montagne possano fungere da catalizzatori per la crescita personale e la spiritualità.
Nel suo primo lungometraggio, Cognetti ci porta in un viaggio visivo attraverso il Monte Rosa, un luogo che non è solo un semplice sfondo, ma un protagonista attivo della narrazione. La fotografia di Ruben Impens cattura la bellezza mozzafiato dei paesaggi montani, trasportando lo spettatore in un mondo dove la natura regna sovrana. Tuttavia, la bellezza visiva non è sufficiente a trasmettere la complessità dell’esperienza montana. La transitorietà dei luoghi, accentuata dai cambiamenti climatici, diventa un tema centrale, invitando a riflettere sulla fragilità dell’ambiente e sull’importanza di preservarlo.
Un aspetto affascinante di “Fiore mio” è la presenza di personaggi che vivono in montagna tutto l’anno. Le loro storie, raccontate con autenticità, offrono uno sguardo diverso rispetto a quello del protagonista, un uomo di città in cerca di rifugio. Sete, un ex sherpa nepalese, incarna la resilienza e la connessione profonda con la montagna. Le sue esperienze, sia gioiose che tragiche, rivelano come la vita in alta quota sia intrinsecamente legata alle leggi della natura. Queste voci, spesso trascurate, arricchiscono la narrazione, rendendo il film un mosaico di esperienze umane che si intrecciano con la grandezza delle montagne.
La colonna sonora di Vasco Brondi, purtroppo, non riesce a catturare completamente l’essenza del film. Sebbene la musica possa essere un potente strumento narrativo, in questo caso risulta talvolta invadente, creando una distanza tra lo spettatore e l’esperienza visiva. La scelta di brani che non si allineano con il ritmo delle immagini può interrompere il flusso narrativo, rendendo difficile per il pubblico immergersi completamente nella dimensione spirituale evocata dalla montagna. La sfida per i cineasti è quella di trovare un equilibrio tra immagini e suoni, affinché la musica possa elevare l’esperienza piuttosto che ostacolarla.