Un'analisi di 'Finché c'è morte c'è speranza' e dei suoi protagonisti complessi
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Il film Finché c’è morte c’è speranza, diretto da Valerio Di Lorenzo, si presenta come un thriller metropolitano che abbraccia le complessità dell’animo umano. Ambientato in una notte folle, il racconto segue le disavventure di Calamaro e dei suoi amici, intrappolati in una spirale di eventi inaspettati dopo un tragico incidente. La narrazione si snoda tra tensione e introspezione, rivelando le fragilità e le paure dei protagonisti, che si trovano a dover affrontare le conseguenze delle loro azioni.
I personaggi, purtroppo, non riescono a emergere come figure memorabili. Sebbene siano osservati con affetto, la loro caratterizzazione risulta superficiale, lasciando il pubblico con un senso di incompletezza. La mancanza di profondità nei personaggi, ad eccezione forse di Freud, interpretato da Dario Benvenuto, limita l’impatto emotivo del film. La loro interazione, pur ricca di potenziale, non riesce a generare la tensione necessaria per coinvolgere lo spettatore in modo duraturo.
Dal punto di vista stilistico, Finché c’è morte c’è speranza si ispira a maestri del cinema americano, richiamando alla mente opere di Scorsese e Landis. Tuttavia, il film rimane bloccato in una sorta di limbo narrativo, incapace di decollare verso una vera e propria esplorazione del genere thriller. Le immagini, pur evocative, non riescono a trascinare il pubblico in un’esperienza immersiva. La scelta di rimanere all’interno delle quattro mura dell’appartamento di Jason diventa una metafora della prigione emotiva in cui si trovano i protagonisti, ma non riesce a generare la tensione necessaria per un thriller di successo.
Il film si presenta come un’opera in cerca della propria identità, oscillando tra diversi generi senza mai affermarsi completamente. Quando tenta di abbracciare il linguaggio della commedia romantica, lo fa con tempi narrativi che non riescono a colpire. D’altro canto, quando si avvicina al thriller puro, la mancanza di ansia e di conflitto rende la trama poco avvincente. Questo dualismo tematico, unito a una scrittura che sembra girare a vuoto, porta a una frustrazione crescente, poiché il potenziale del racconto rimane inespresso.